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Infusione di alte dosi di linfociti materni per il trattamento dei disordini linfoproliferativi delle cellule T EBV-positivi durante l'infanzia


L’infusione di linfociti da donatore è un trattamento alternativo per i disordini linfoproliferativi associati al virus di Epstein-Barr ( EBV ), ma presenta il rischio di sviluppare malattie di trapianto contro l’ospite ( GVHD ).

Basandosi sulla tolleranza del microchimerismo materno-fetale, si è ipotizzato che l'infusione di linfociti materni potesse essere efficace senza causare malattia di trapianto contro l’ospite.

In 54 casi considerati in cui per un bambino era necessaria la citoterapia o il trapianto di cellule staminali, è stata studiata la madre per il microchimerismo materno-fetale con l'utilizzo di polimorfismi di inserzione-delezione come marcatori allogenici e una combinazione di PCR e PCR quantitativa real-time ( RT-PCR ).

In tutto, 13 madri sono risultate positive al microchimerismo con un rapporto di 10-5 - 103 .

Tra questi casi, 5 bambini avevano disordini linfoproliferativi delle cellule T EBV+ non-associati a trapianto.
In questi 5 casi, elevate dosi di cellule mononucleate del sangue periferico materno antigene leucocitario umano-aploidentiche ( superiore a 108/kg/infusione ) sono state infuse da 1 a 4 volte.

I sintomi in tutti e 5 i pazienti sono migliorati tra 3 e 10 giorni dopo l'infusione; successivamente, 3 casi hanno mostrato remissione completa per 6-18 mesi senza ulteriore terapia e 2 hanno avuto una remissione parziale.

Durante il periodo osservazionale, nessun paziente ha sviluppato malattia del trapianto contro l’ospite evidente.
Mediante PCR quantitativa, è stato osservato che in alcuni soggetti le cellule materne sono state eliminate o sono diminuite dopo le infusioni, indicando l'esistenza di una reazione ospite contro il trapianto.

In conclusione, si può affermare che l’infusione di alte dosi di linfociti materni è un trattamento efficace e sicuro per disordini linfoproliferativi delle cellule T EBV+ non-associati a trapianto. ( Xagena2010)

Wang Q et al, Blood 2010; 116: 5941-5947


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